Nel lontano 1766 uno scienziato inglese chiamato H. Cavendish definì, a seguito della sua scoperta, l’idrogeno come “aria infiammabile” ma solo un ventennio dopo A. Lavoisier diede il nome di idrogeno all’elemento. Numerosi furono gli scienziati che approfondirono l’idrogeno mediante la messa in atto di esperimenti di ogni genere. Ricordiamo come Frazer depositò il brevetto del primo Booster ad idrogeno, ossia un sistema complesso di motori a combustione interna la quale aveva precise caratteristiche di innovatività: efficienza dei motori a combustione interna aumentata, combustione completa di tutti gli idrocarburi, capacità di tenere il motore maggiormente pulito e con costi inferiori di manutenzione, utilizzo di meno carburante a parità di prestazione.
Pertanto possiamo definire l’ossidrogeno una miscela composta da ossigeno ed idrogeno. Quest’ultimo attiva il processo di combustione quando si porta alla sua temperatura di autoignizione, ossia 120° C.
Prima della scoperta dell’elettricità, infatti, esistevano moltissime lampade ad ossigeno (es. Lampade di calce) le quali utilizzavano una semplice fiamma all’ossidrogeno per riscaldare un pezzo di calce ad altissime temperature il quale, sucessivamente, rilasciava luminosità per lungo tempo. In passato l’utilizzo dell’ossidrogeno è stato riservato a moltissime lavorazioni del platino giacchè tale elemento si fonde a temperature altissime, raggiungibili solo da una fiamma ossidrogenica se non si voleva ricorrere ad un forno elettrico ad arco.
Grazie all’ossidrogeno è possibile realizzare anche perfette saldature. Il metodo prevede la bruciatura dell’idrogeno che fa da combustibile con l’ossigeno che fa da comburente. Tale procedura è utilizzata per il taglio di metalli, termoplastica e vetro. Sopratutto nell’industria del vetro, infatti, è riservata principalmente alla lucidatura al fuoco, metodo che consiste nel fondere completamente la superficie del vetro al fine di eliminare del tutto eventuali graffi oppure imperfezioni. Esiste un altro tipo di fiamma ossidrica, ossia quella alimentata allo stesso modo da ossigeno e idrogeno, ma tali elementi sono ottenuti al momento da un processo di elettrolisi della componente di acqua. In tal modo si evita l’utilizzo di bombole che contengono i due elementi.
In tal modo, le fiamme generate dall’acqua, così come l’ossigeno, devono essere create appositamente per evitare vi sia un ritorno di fiamma (il cosiddetto vacuum). Si utilizza, nello specifico, un bubbler di lana oppure di acqua in vetro, rendendo in tal modo assolutamente sicura la camera elettrolitica. L’apparato che fa si sia evitato il ritorno di fiamma prende il nome di arrestor.